La foto di papà

di Giovanni Negro -(Ad. da un racconto di Cristoforo Schmid)

«Onora tuo padre» (Es 20:12).
Molti anni fa, in una grande città, morì un ricco mercante. L’unico erede dei suoi beni era suo figlio Davide. Ma dato che questi abitava fuori della città in cui aveva vissuto il padre, nessuno lo conosceva. Pertanto, in attesa del legittimo erede, tutti gli averi del mercante rimasero custoditi dai magistrati della città. Dopo qualche tempo, si presentarono dai magistrati tre giovani, ciascuno dei quali pretendeva di essere il figlio del mercante deceduto. Naturalmente i giudici si trovarono in grande imbarazzo. Chi dei tre pretendenti era veramente il legittimo erede? Uno dei giudici, il più anziano, ebbe un’idea e disse loro: «Passate tutti e tre domani mattina alle undici in punto». Il giorno dopo, all’ora stabilita, si presentarono puntuali tutti e tre. L’anziano giudice ordinò al suo segretario di portargli la foto del mercante, che egli aveva fatto ingrandire, e la fece collocare su una parete facendogli un segno proprio nel punto del cuore. Poi, rivolgendosi ai tre pretendenti, disse: «Ecco qui un arco con delle frecce, chi colpirà il ritratto, proprio sul segno che ho fatto, avrà l’eredità». Subito uno dei tre prese l’arco e tirò con sicurezza: la freccia colpì vicinissimo al segno. Poi seguì il secondo, che riuscì a colpire ancora più vicino. Quando il giudice invitò il terzo giovane, cioè Davide, a scoccare anche lui la sua freccia, egli, assalito da un improvviso tremore, gettò per terra l’arco e, scoppiando a piangere, disse: «No! Non posso tirare; prenda chi vuole le sue ricchezze, ma io non oserò mai colpire l’immagine del mio caro papà». Allora il giudice, abbracciandolo teneramente, disse: «Nobile giovane, tu sei il vero figlio e il legittimo erede. Un figlio non può, mai e poi mai, trafiggere il cuore del padre, anche se in questo caso si trattava solo di una semplice foto».
Bravo, Davide! A che cosa vi fa pensare la parola “papà”? Sicuramente a protezione, aiuto, calore, tenerezza. È bello il suono di questa parola, ed è la parola che si pronuncia subito quando si è in difficoltà o si ha qualche problema. Per esempio: chi chiamate quando non riuscite ad aprire la bottiglia dell’acqua? Chi vi ripara i vostri oggetti rotti? Chi corre a prendere le medicine quando voi siete a letto ammalati? Quando piove, chi si bagna per andare a prendere l’automobile e accostarsi all’ingresso per non farvi bagnare? Chi ha percorso tanti chilometri correndo a piedi dietro di voi perché imparaste ad andare in bicicletta? E avete mai pensato perché Gesù ci ha invitati a pensare a Dio come a un padre? Sì, cari amici, egli vuole che noi, abbiamo con lui lo stesso rapporto che abbiamo con il nostro papà terreno e desidera essere interpellato quando ci troviamo in difficoltà. Inoltre, chiede che i bambini considerino il loro papà anche come suo rappresentante, rispettandolo e ubbidendogli, così come Gesù stesso «stava sottomesso» (Lc 2:51). Per questo, quando noi disprezziamo o rifiutiamo l’autorità del nostro papà, automaticamente rifiutiamo anche quella di Gesù che è Padre e Signore di ognuno di noi.
Certo, a volte i papà possono sembrare antipatici, perché oltre ad amministrare la bontà, per il nostro bene, sono chiamati ad amministrare anche la giustizia; ma sappiate che essi sono disposti anche a dare la loro vita per i propri figli. E quando pensate che nessuno è coraggioso e forte come il vostro papà, sappiate, comunque, che anche lui è bisognoso di affetto e di gesti pieni di tenerezza.

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Autore dell'articolo: Stefania Tramutola