Il figlio della giovenca

Giovanni Negro – “Se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio” (Gv 3:3).

Gionathan, un contadino ebreo, era diventato così povero che aveva dovuto vendere perfino la sua giovenca che utilizzava per arare la terra. La comprò allora un pagano che la fece arare per sei giorni consecutivi. E ancora, al settimo giorno, la portò fuori per arare, ma quella si accovacciò sotto il giogo e, nonostante le percosse, non volle muoversi. Allora il nuovo padrone andò subito dall’ebreo che gli aveva venduto la bestia e gli disse: “Vieni a prenderti la giovenca; forse essa soffre per aver cambiato padrone perché, sebbene io la batta, non si muove”. Gionathan capì il motivo per cui la giovenca non voleva arare: era sabato, giorno in cui era abituata a riposare secondo il quarto comandamento del decalogo. Perciò disse al pagano: “Verrò e te la farò alzare”. Così, andò, e quando vide la bestia adagiata per terra, le si avvicinò bisbigliando qualcosa all’orecchio dell’animale. La giovenca, allora, si alzò e incominciò ad arare. Il pagano allora disse: “Per favore, portati via la mucca, perché io non posso farti sempre venire ad alzarla. Ma non ti lascerò partire finché non mi avrai detto che cosa le hai sussurrato all’orecchio. Mi sono tanto affaticato per farla alzare e l’ho anche battuta, ma non si è mossa per niente”. Allora Gionathan lo accontentò e gli disse: “Io non ho fatto ricorso né alla stregoneria né alla magia, ma le ho semplicemente detto: ‘Giovenca, giovenca, tu sai bene che quando eri mia tu aravi sei giorni e il sabato ti riposavi; ma ora, purtroppo, a causa della mia povertà tu sei passata a un padrone pagano che non conosce la legge del Signore. Ti prego, alzati e ara’”. A quel punto il pagano fu colto da timore, ed esclamò: “Se una mucca, che non ha parola e raziocinio, può riconoscere il suo Creatore, non devo riconoscerlo pure io, che sono stato creato a sua immagine e somiglianza?”. Immediatamente chiese di studiare le Scritture e poi si convertì all’ebraismo. Da allora tutti gli ebrei lo chiamavano: “Tobia, figlio della giovenca”, perché era stato convertito grazie all’esempio e alla fedeltà di una giovenca.
Anche noi, in questo caso di conversione, vogliamo esclamare insieme con il Carducci: “T’amo, o pio bove”.
Ma chi ha detto che il bue è un animale ottuso? Nella Bibbia, invece, il bue ci ricorda che nella vita ci vuole costanza, pazienza e disposizione al sacrificio. È vero che non partecipa mai alle sfilate, ma è sempre a disposizione per i servizi più gravosi e umili. E poi, vivo o morto, diciamolo pure, si rivela sempre di grande utilità per l’uomo.
Spesso il Signore si è servito degli animali per salvare l’uomo o per risvegliare la sua coscienza (Gio 2:1; Lc 22:60-62). Anzi, a volte il Signore, rimproverando l’uomo per il suo comportamento ingrato nei confronti del Creatore, prende come esempio il bue e l’asino che invece sanno riconoscere il loro padrone (Is 1:3).
Qual è, secondo voi, il prodigio più grande che il Signore può compiere? Il miracolo dei miracoli è la conversione dell’uomo. È per questo che tale cambiamento è paragonato alla nuova nascita e alla risurrezione, perché, quando una persona lascia entrare Gesù nel cuore, tutte le vecchie e cattive abitudini vengono abbandonate ed “egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio” (2 Cor 5:17-18).
(Ad. da Pesiqtà Gabbati 56-57)

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Autore dell'articolo: Stefania Tramutola