Giovanni Negro – “Io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo” (Fil 4:11)
Era un uomo povero e semplice. La sera, dopo una giornata di duro lavoro, rientrava in casa spossato e pieno di malumore. Guardava con rancore sia la gente che passava in belle automobili sia quelli che erano seduti ai tavolini dei bar. “Quelli sì che stanno bene”, brontolava sempre l’uomo pigiato nel pullman pieno di vari odori sgradevoli. “Non sanno che cosa vuol dire tribolare, sacrificarsi… Tutto rose e fiori, per loro. Avessero la mia croce da portare!”. Una sera tornò a casa più imbronciato che mai. Il Signore, che aveva ascoltato sempre con molta pazienza i suoi lamenti, quella sera gli disse queste parole: “Vieni con me. Ti darò la possibilità di fare una scelta”. L’uomo si trovò all’improvviso dentro un’enorme grotta. Questa era piena di croci: piccole e grandi, semplici o fatte d’oro, lisce o rozze. “Vedi? Sono le croci degli uomini. Lascia pure la tua e scegline un’altra di tuo piacimento”, gli propose con dolcezza il Signore. L’uomo, contento, buttò la sua croce in un angolo e, fregandosi le mani, cominciò a scegliere. Provò una croce che gli parve subito leggera, ma poi la trovò lunga e ingombrante. Si mise al collo una piccola croce di ferro che era stata di un ministro di culto, ma subito, riflettendo, s’accorse che era incredibilmente piena di responsabilità, di sacrificio e di rinuncia. Un’altra, graziosa in apparenza, appena fu sulle sue spalle cominciò a pungere come se fosse piena di chiodi. Afferrò, allora, una croce d’argento che era stata di grandi uomini di successo, ma si sentì invadere da una straziante sensazione di isolamento, di fredda solitudine. La posò subito. Per ore provò e riprovò ma, per lui, ogni croce aveva qualche difetto. Finalmente, in un angolo semibuio, scovò una piccola croce, un po’ logorata dall’uso. Non era né troppo pesante né troppo ingombrante. Sembrava fatta apposta per lui. L’uomo se la mise sulle spalle con aria soddisfatta, ed esclamò: “Ecco, finalmente quella giusta!”. E, presala, uscì dalla grotta col viso gioioso. Il Signore gli rivolse uno sguardo affettuoso, proprio come una carezza. E in quell’istante l’uomo si accorse che aveva ripreso la sua vecchia croce: quella che aveva buttato via entrando nella grotta e che portava, protestando, da tutta una vita.
Forse anche noi, come l’uomo della parabola, nelle nostre riflessioni, nel confrontarci con gli altri, a volte ci siamo abbandonati alla tentazione della lamentela pura e semplice:“Il mio vicino è ricco ed è sempre in giro per il mondo”; “Gli amici si possono permettere i vestiti firmati, beati loro!”; “Il mio amico ha il computer più avanzato!”; “I compagni di scuola possono andare in gita e io no!”.. È pericoloso abbandonarsi al mugugno continuo, alla scontentezza giornaliera, perché alla fine rischiamo di non riuscire più ad affrontare i problemi della vita. La Bibbia ci dice: “Siate contenti delle cose che avete” (Eb 13:5). E se anche noi ci fossimo trovati in carcere dopo aver ricevuto tante vergate, come Paolo e Sila, come avremmo reagito? Quante lamentele avrebbero sentito gli altri carcerati? Invece, è scritto che essi “cantavano inni a Dio” (At 16:23-25). (Ad. da “Piccole storie per l’anima” di Bruno Ferrero).