Giovanni Negro – “Va’ e racconta le grandi cose che il Signore ti ha fatte” (Mc 5:19).
C’era una volta un ricco signore che aveva un pappagallo così bene ammaestrato da riuscire a pronunciare alcune parole. Un giorno, il servitore di questi, che da poco lavorava nella casa dov’era il pappagallo, osservandolo, ne restò meravigliato, perché non aveva mai visto uccelli di quella specie, e gli piacque così tanto che stese la mano per accarezzarlo. L’uccello, ardito e chiacchierone, a quell’atto aprì il becco e disse: “Che cosa vuoi?”. Il servo allora si impressionò e, facendo un passo indietro, ritrasse subito la mano; poi, levatosi il berretto, rispose: “Scusi, signore, l’avevo preso per una bestia”.
È proprio il caso di dire che talvolta, di fronte a certe azioni, bisogna levarsi il cappello. Vediamo se anche voi, dopo aver letto la storia che segue, riuscirete a togliervi il vostro.
Alcuni anni fa, in una tranquilla città toscana sulla riva dell’Arno, viveva un professore di medicina.
Una sera, sentendo dei guaiti lamentosi, uscì nella strada poco illuminata e riuscì a scorgere, disteso vicino al marciapiede, un povero cagnolino che si lagnava pietosamente. Il professore prese la bestiola fra le braccia, entrò nel suo studio e la adagiò sul tavolo. Il cagnolino guaiva ancora, ma non più disperatamente. Sembrava avesse capito che qualcuno si stava occupando di lui per curarlo. Infatti, il professore preparò un’asticella di legno e l’applicò alla zampina che era spezzata, fasciandola strettamente. Il cagnolino lasciò fare senza reagire, con qualche guaito più forte ogni tanto. Alla fine, lambì la mano del suo salvatore, guardandolo con occhi umidi e pieni di gratitudine. Il professore lo adagiò su un cuscino e gli procurò anche un po’ di latte. Il giorno dopo, il cagnolino, già più vispo, accolse il suo salvatore con grandi manifestazioni di gioia: ormai erano amici! E il vecchio professore, che non aveva famiglia e viveva una vita solitaria, si affezionò subito a lui. Non era un cane di razza pregiata, però era così intelligente che in poco tempo si attirò la simpatia di tutti i vicini. Una volta guarito, cominciò ad allontanarsi per alcune ore tornando sempre verso sera. Ma un giorno non ritornò, e non si fece più vedere neanche nei giorni successivi. “Sarà tornato alla vita di prima! Lo spirito d’avventura è stato più forte del sentimento di riconoscenza… Pazienza! Non pensiamoci più”, disse tra sé il professore un po’ dispiaciuto. Ma una sera, mentre stava leggendo, sentì grattare alla porta. “È lui!”, esclamò con gioia il medico. E corse ad aprire. Era proprio il cagnolino, ma non era solo. Immaginate! Si era trascinato dietro un altro cane, che guaiva debolmente, camminando a stento su tre delle sue zampe… La quarta era rotta! Il professore rimase sbalordito. E, mentre medicava pazientemente la zampetta fratturata del suo nuovo paziente, pensò: “Ma è possibile che i cani parlino?”.
Secondo voi, quali sono le motivazioni che hanno spinto il cagnolino a condurre il suo simile ferito dall’amico guaritore? Per noi dovrebbe essere naturale rendere partecipi gli altri, nella misura delle nostre capacità e possibilità, di ogni vantaggio e benedizione che abbiamo ricevuto. Gesù col suo modo di vivere ci ha insegnato che tutti abbiamo degli obblighi reciproci, e ognuno di noi si deve sforzare per contribuire alla felicità di quanti ci sono intorno. Per questo, l’apostolo Paolo, quando sperimentò la grazia e la tenerezza di Gesù, si sentì debitore (Rm 1:14) verso coloro che non conoscevano il gran Medico e il suo messaggio di guarigione e di salvezza. (Ad. da una storia di M. Tibaldi)