Uomini e non pappagalli

Giovanni Negro – “Il vostro parlare sia sempre con grazia” (Col 4:6)

Su un albero di una grande foresta amazzonica c’era un nido intessuto di fili d’erba secca e di pagliuzze dove abitavano due bellissimi pappagalli, nati da qualche settimana e già in grado di fare piccoli voli. La madre era sempre lì a coprirli con le sue morbide piume. Ma un giorno, mentre era assente in cerca di cibo per i due ghiottoni, ecco i cacciatori, armi a tracolla e visi scuri. Uno di loro, visto il nido, si arrampicò sull’albero per prendere i due piccoli; ma uno dei pappagalli riuscì a fuggire; l’altro, invece, fu catturato e portato via dai due uomini. Il pappagallo, chiuso ormai in una gabbia, imparò a ripetere le parole che spesso sentiva dalle persone che lo avevano catturato. L’altro, vagando qua e là per la foresta, capitò presso la capanna di un missionario. Questi, vedendolo piccolo e bisognoso di attenzioni, lo portò nella sua capanna e lo allevò con c ura. E quando il missionario pregava a voce alta o accoglieva qualche viandante stanco, la cara bestiola ripeteva le sue parole, in un primo tempo balbettando confusamente, poi con sempre maggior perfezione. Un bel giorno, un nobile signore e la sua figlioletta, attraversando a cavallo la foresta, perdettero ogni traccia e si smarrirono. Giunti vicino all’abitazione dei cacciatori, furono notati dal pappagallo che cominciò a gridare: “Prendili! Dai! Spara!”. L’uomo e la sua bambina, impauriti dalle parole furiose dell’animale, fuggirono velocemente guardandosi sempre intorno. Cammina e cammina, arrivarono alla capanna del missionario. Ed ecco che un altro pappagallo, appollaiato su un albero lì vicino, nel vederli smarriti e stanchi, si mise a dire: “Poveretti! Siete stanchi e affamati. Venite. Entrate”. Il papà e la figlia, meravigliati, si accostarono, mentre alla porta della capanna si affacciava il missionari o. “Non molto lontano da qui – disse il nobiluomo – ho trovato un altro pappagallo che diceva cattive parole e ci minacciava. Questo, invece, ha solo parole di cortesia”. “Eppure – rispose il missionario – ho saputo che sono fratelli”. “Come mai tanta differenza di linguaggio? Perché uno è buono e l’altro cattivo?”, chiesero i due. Il missionario, accarezzando dolcemente la bambina e rivolgendosi al papà, disse: “I pappagalli non sono né buoni né cattivi. Imparano a ripetere le parole che sentono più spesso. E non credete, caro signore, che sia così anche per gli uomini?”.
E voi, bambini, che cosa ne pensate? Se uno di questi due pappagalli fosse stato ospite in casa vostra, quali parole avrebbe imparato? È vero che le cattive compagnie corrompono i buoni costumi (1 Cor 15:33) ed è meglio evitarle, però è anche vero che non è possibile scegliere sempre di vivere con persone o in ambienti che ci aiutano a sviluppare buoni principi. Ma allora che facciamo? Ripetiamo e copiamo abitudini che vediamo e parole che sentiamo? No, noi non siamo pappagalli. Siamo amici di colui al quale fu detto: “Nessun uomo parlò mai come quest’uomo” (Gv 7:46). E se confidiamo nelle sue promesse, Gesù ci darà la forza e la capacità necessarie affinché “nessuna cattiva parola esca dalla nostra bocca”, ma che possiamo sempre pronunciare parole gentili e cortesi che “conferiscono grazia a chi ci ascolta” (Ef 4:29).

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Autore dell'articolo: Stefania Tramutola